Elena Kostioukovitch. La fortezza Kyiv.
Elena Kostioukovitch aveva smascherato nel 2022, in Nella mente di Putin, i miti e le falsificazioni storiche che alimentano i progetti dell’imperialismo postsovietico. A tre anni dell’invasione russa, torna nella sua città e in Kyiv. Una fortezza sull’abisso (La nave di Teseo, 2025), ci guida lungo le strade, le piazze, i monumenti, che divengono lo sfondo di un’intensa trama narrativa. Le vicende personali si intrecciano allora con i drammi vissuti da un popolo intero, come dimostra la storia della sua famiglia, segnata dalla violenza nazista e staliniana.
Grazie al suo impegno nell’associazione Memorial (Premio Nobel per la Pace nel 2022), Kostioukovitch è riuscita a ricostruire, insieme a tante oscure vicende degli anni del Grande terrore, la tragica fine del suo bisnonno, l’ingegnere ferroviario Hersh Kostantinovsky, fucilato nel febbraio del 1938 e poi riabilitato nel 1957. Memorial, fondata nel 1989 per far luce sui crimini commessi in età sovietica e per la difesa dei diritti umani, si era opposta nel 2014 all’annessione della Crimea. Non giunse dunque inaspettata la decisione della Corte Suprema Russa, che il 28 febbraio del 2024, quattro giorni dopo l’intervento in Ucraina, decretò il suo scioglimento. Fu infatti considerata dalla Corte “agente straniero”, e si temeva che le sue attività potessero compromettere la “verità storica” che la Federazione russa, secondo la nuova Costituzione, si impegna a proteggere.
Leonid Volynsky, il nonno di Kostioukovitch, un Monument Man russo, collaborò al recupero delle opere d’arte della Pinacoteca di Dresda e fu responsabile del convoglio in cui furono trasportate a Mosca tele di Tiziano, Rubens, Velàzquez, insieme alla Madonna Sistina di Raffaello. I suoi meriti non lo sottrassero però alla persecuzione antisemita staliniana. L’avventuroso recupero di quelle opere ispirò il film Cinque giorni, cinque notti (1961), del regista ucraino Leo Arnshtam, la cui colonna sonora fu composta da Dmitry Shostakovich. A Dresda, nel luglio del 1960, il musicista russo compose il Quartetto per archi n. 8, ispirato a Babyn Yar, il fossato in cui i nazisti, nel 1941, giustiziarono circa 100.000 ebrei e dove furono uccisi anche i genitori di Volynsky, bisnonni di Elena Kostioukovitch. I motivi ebraici, presenti nel quartetto, vennero poi ripresi da Shostakovich nella Tredicesima sinfonia, in cui furono inseriti i versi dedicati da Evgenij Evtushenko a Babyn Yar. Nel dopoguerra, prevalendo ancora l’antisemitismo, non si fece cenno a quel massacro rievocato nel 1961 da Evtushenko, che si attirò le ire della censura, particolarmente sensibile su questi temi, anche dopo Stalin.
Le motivazioni dell’invasione russa dell’Ucraina, rileva Kostioukovitch, si fondano sulla manipolazione della storia e delle parole, come appare evidente quando Putin invoca la denazificazione di quei territori per legittimare l’ “Operazione militare speciale”. L’invasione costituisce, in realtà, una variante postzarista e postsovietica dell’imperialismo russo, che trova, ancora oggi, una sponda ideologica nel mito del Russkij Mir (l’Universo russo), in cui tutti gli slavi dovrebbero riconoscersi. In base a questo mito fondativo panslavista, riproposto cinicamente da Putin per nobilitare le sue mire espansionistiche, le pretese di indipendenza dell’Ucraina sarebbero in radicale contrasto con l’unità organica dell’identità russa, oltre che inaccettabili sul piano politico.
Nel processo di radicalizzazione identitaria, già ampiamente indagato da Kostioukovitch in Nella mente di Putin, si colloca anche l’eurasiatismo, teorizzato da Nikolaj Trubeckoj, che considera fondamentale l’influenza dei popoli mongoli e ugro-finnici. In questo clima ideologico e propagandistico prevalgono sempre orientamenti antimoderni, ostili all’individualismo liberale. Temi, questi, che, attraverso l’ambigua figura di Alexandr Dugin, hanno avuto ampia risonanza nei movimenti di estrema destra europei, radicalmente avversi alle istituzioni liberaldemocratiche. Dugin, che ha avuto grande influenza su Putin, fondò con Eduard Limonov, nel 1993, il Partito Nazional Bolscevico, una formazione rosso-bruna, sensibile a simboli e slogan nazisti, ma anche all’uso politico della religione, in particolare della Chiesa ortodossa, vista come una alleata contro il “corrotto” Occidente. Dal 2014, in diversi discorsi, Putin, si è in qualche modo identificato nella figura del Principe Vladimir, artefice dell’unificazione dei russi, degli ucraini e dei bielorussi, in seguito alla conversione di questi popoli all’ortodossia. La vicinanza al Santo Principe Vladimir non impedisce però a Putin, come ha sottolineato Kostiukovitch, di sentirsi, allo stesso tempo, erede di Ivan il Terribile, di Pietro il Grande o di Stalin. Si presenta così nella veste di un eroe nazionale, in grado di ridar vita al Russkij Mir, come dimostrerebbero i suoi successi, l’annessione dei territori georgiani nel 2008, l’occupazione della Crimea e l’ “Operazione militare speciale” in seguito.
Scrivere Kyiv piuttosto che Kiev significa rivendicare l’identità ucraina sul russo, che per Kostioukovitch, come per Zelensky e i loro compatrioti, ha costituito la prima lingua. Zelensky ha cominciato a padroneggiare l’ucraino proprio in questi anni, promuovendone al massimo la diffusione. Kostioukovitch cita il corrispondente di guerra americano Edward R. Murrow, che nel 1945 attribuì a Churchill l’abilità di mobilitare la lingua inglese mandandola in prima linea. Zelensky, a suo avviso, si sarebbe dimostrato capace di un’impresa ben più ardua. Non aveva infatti a sua disposizione una lingua universalmente diffusa, come l’inglese, ma, per difendere una giusta causa, ha saputo mobilitare l’ucraino, che né lui, né gran parte del suo popolo, conoscevano ancora bene.
Il suo abito, che durante il recente incontro alla Casa Bianca è stato fatto oggetto di derisione da parte di un giornalista dell’establishment di Trump, non era diverso da quello che aveva indossato recandosi al Congresso nel dicembre del 2022 e poi a Buckingham Palace, nel febbraio dell’anno successivo, quando fu ricevuto da Carlo III. Questo “abito della fratellanza” esprime, scrive Kostioukovitch, la tenacia e l’orgoglio di un popolo in armi. Quando, il 26 febbraio 2022, la propaganda russa diffuse la notizia della sua fuga da Kyiv, Zelensky, in un giorno in cui la città subiva il fuoco russo, registrò un video dinnanzi al palazzo presidenziale per dichiarare: “Tutti noi siamo qui a difendere la nostra indipendenza, il nostro paese”. Il suo motto, “insieme e qui”, riflette un modello di relazioni che privilegia la dimensione del “noi”. Alla coralità di Zelensky, Kostioukovitch contrappone la solitudine che circonda Putin, anche in situazioni che richiederebbero un’ampia partecipazione popolare, come è accaduto il 7 novembre del 2022, quando, dinnanzi al coro che sulla Piazza Rossa intonava La Guerra Sacra, il leader russo scelse di essere l’unico spettatore. La situazione si è ripetuta durante vigilia di Natale dello stesso anno, quando ha assistito alla messa in una chiesa vuota.
Nei comportamenti di Zelensky, scrive Kostioukovitch, si può cogliere come il leader ucraino indichi al suo popolo un esempio che possa allontanare il ricordo dell’abdicazione di Nicola II nel 1917 e della fuga dell’etmano Pavlo Skoropadsky nel 1919, eventi che causarono la fine dell’indipendenza ucraina. Bernard-Henri Lévy ha ricordato che, quando Biden gli offrì la possibilità di lasciare il paese, Zelensky rispose di aver bisogno non di un taxi, ma di munizioni. L’abito-divisa e molti atteggiamenti, che vengono ricondotti con ironia alla sua esperienza di attore e ritenuti talora inopportuni e inadeguati, indicano in realtà la volontà di utilizzare al massimo le abilità performative per testimoniare il valore di un popolo che resiste all’invasione. Ciò è emerso in particolare nella Sala Ovale dinnanzi a Trump e a Vance, che hanno dato prova, dal canto loro, di indubbie “virtù” performative, poste però al servizio della volgarità e dell’arroganza. Modi diversi di essere Commander in chief .
La complicità fra Trump e Putin, che si sta delineando in questi giorni, potrebbe condurre, come ha dichiarato recentemente Michael Walzer, a una nuova Conferenza di Jalta. Nel 1945, sul Mar Nero, si definirono le aree di influenza delle grandi potenze, consentendo all’URSS di estendere il suo dominio sull’Europa orientale. Kyiv diviene allora, come scrive Elena Kostioukovitch, una fortezza per l’Europa, che non può assistere inerme alla ridefinizione dei suoi confini e alla ratifica di una pace ingiusta, in nome del realismo politico e del mantenimento degli equilibri fra le grandi potenze.
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