Huffington Post Italia, 27 February 2023 - "Eight years without Boris Nemtsov"
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Otto anni senza Boris Nemtsov (di E. Kostioukovitch)
/ di Memorial Italia +
(di Elena Kostioukovitch, autrice di Nella mente di Vladimir Putin e socia di Memorial Italia)
A otto anni dall'assassinio di Boris Nemcov, pubblichiamo di seguito un'analisi della sua figura come oppositore politico di Putin soprattutto in relazione con le tragiche vicende legate all'Ucraina. Su richiesta dell'autrice, nel testo viene utilizzata la cosiddetta traslitterazione giornalistica in luogo di quella scientifica, per cui Nemcov viene scritto Nemtsov. La guerra della Russia contro l’Ucraina è iniziata già nel 2014, anche se molti preferivano chiamarla ‘ibrida’. La strategia usata all’epoca da Putin era quella di dissimulare lo scoppio di un vero e proprio conflitto e soprattutto di negare il coinvolgimento della Federazione Russa. Tuttavia, non tutti credettero a questa versione: tra questi Boris Nemcov. Per questo Memorial Italia lancia, contestualmente, altre due iniziative legate a questa ricorrenza. Boris Nemcov, infatti, era riuscito a raccogliere materiali che provavano l’intervento russo in Ucraina, ma non aveva fatto in tempo a pubblicarli. I suoi collaboratori Il’ja Jašin e Ol’ga Šorina li utilizzarono per redigere un dossier la cui pubblicazione in Russia fu rifiutata da 14 editori. Una traduzione in inglese è disponibile nel sito di Free Russia Foundation. Il video con la presentazione del dossier da parte di Il’ja Jašin del 12 maggio 2015 è disponibile coi sottotitoli in italiano realizzati da Anastasia Komarova nel canale YouTube di Memorial Italia. Il 9 dicembre 2022 il tribunale Meščanskij ha emesso una sentenza di condanna per Il'ja Jašin a 8 anni e 6 mesi di reclusione in colonia penale ai sensi dell'articolo 207.3 comma 2 punto d «Diffusione pubblica, sotto forma di comunicazioni credibili, di informazioni consapevolmente false sulle azioni delle Forze Armate russe, motivate da odio o ostilità politica». Jašin è stato riconosciuto come prigioniero politico dal Centro di difesa dei diritti umani Memorial. Il dossier è stato tradotto in italiano da Milly Berrone e sarà pubblicato prossimamente. Sul sito di Memorial Italia presentiamo un brano dell’inizio e uno della fine del testo, con una breve nota introduttiva a cura della traduttrice.
"Putin ha dichiarato una guerra fratricida all’Ucraina. Questa follia sanguinosa dell’inadeguato cekista costerà cara alla Russia e all’Ucraina: migliaia di ragazzi uccisi da entrambe le parti, madri e mogli infelici, bambini orfani. Una Crimea vuota, dove nessuno vorrà abitare. Miliardi, decine di miliardi di rubli sottratti ad anziani e bambini e gettati nella fornace della guerra, e ancora di più ne verranno gettati per sostenere il regime corrotto della Crimea. A quanto pare Putin non può mantenere il potere altrimenti. Il vampiro ha bisogno della guerra. Ha bisogno del sangue umano. L’isolamento internazionale, l’impoverimento del popolo e le repressioni attendono la Russia. Dio, perché ci meritiamo una tale maledizione? Per quanto tempo ancora potremo tollerare tutto questo?!". Boris Nemtsov, 2 marzo 2014, LiveJournal
Queste parole non riguardano il 24 febbraio 2022. Boris Nemtsov le ha scritte a proposito di ciò che accadeva alla fine, sì di un febbraio, ma del 2014. Parlava della guerra in Crimea, nelle regioni ucraine orientali, di quell'aggressione, contro la quale il mondo aveva a malapena reagito. Per Nemtsov la guerra era iniziata proprio nel 2014. Lo stesso vale per gli ucraini. Non è un caso che la guerra del 2022 sia chiamata dagli ucraini “invasione su larga scala”. Ciò rispecchia l’idea che una “invasione su scala minore” fosse iniziata già da un bel po’, nel 2014. Il 27 febbraio. Questa data ci dice molto. È anche il giorno della morte di Boris Nemtsov.
Il 27 febbraio 2014 iniziò l’annessione attiva: le forze speciali russe s’impossessarono dell’edificio del parlamento della Repubblica Autonoma di Crimea. Successivamente in questa sede occupata si tenne una sessione del Soviet Supremo, in cui i parlamentari furono costretti a entrare sotto la minaccia dei mitra e durante la quale “si formò” un governo illegale di Crimea guidato dal leader del partito “Russia Unita”, Serguey Aksyonov.
Ecco cosa ha detto Nemtsov nella sua ultima intervista su "Ekho Moskvy" (Eco di Mosca) il 27 febbraio 2015 alla giornalista Ksenia Larina e al conduttore Vitaly Dymarsky:
B. Nemtsov: Putin ha iniziato l’aggressione contro l’Ucraina un anno fa. Il 27 febbraio dello scorso anno, infatti, uomini armati si sono impossessati dell’edificio del parlamento della Repubblica Autonoma di Crimea. Poi 47 deputati, cioè senza quorum, hanno votato per il referendum sotto la minaccia delle armi.
K. Larina: 27 febbraio. E questo giorno ormai in Russia è una festa nazionale.
B. Nemtsov: Si, è stata introdotta una nuova festività: la “Giornata delle Operazioni segrete delle forze speciali”.
Poi, Nemtsov aggiunge, come se leggesse la sfera di cristallo, come se anticipasse certe obiezioni che incontro spesso sia nei dibattiti televisivi che alle presentazioni del mio libro Nella mente di Vladimir Putin, una frase in risposta ai luoghi comuni preferiti dai telespettatori, secondo i quali il governo ucraino “apre la bocca solo per elemosinare armi”: “Putin, annettendo la Crimea, ha violato un’infinità di obblighi internazionali della Russia. Il principale è l’obbligo previsto dal Memorandum di Budapest”. Pochi, nella massa del pubblico, ricordano che l’Ucraina nel 1994 a Budapest aveva ceduto le proprie armi alla Federazione Russa, ricevendo in cambio garanzie di non aggressione e protezione, proprio da parte di quest’ultima.
Il discorso di Nemtsov è organizzato in modo chiaro, senza alcuna possibilità di interpretazione ambigua. Ciò che ho sempre ammirato di lui è la limpidezza delle formulazioni. Con una sconvolgente chiarezza in quell’ultima intervista ha predetto il nostro futuro. Quello che non ha potuto prevedere, ahimè, era soltanto il dettaglio che 2 ore e mezza dopo quella conversazione, ci sarebbe stata un’altra “operazione segreta delle forze speciali”...
Boris Nemtsov fu ucciso nell’anniversario dell’annessione della Crimea. Il Cremlino notoriamente è ossessionato dalla precisione delle date che presumibilmente considera essere augurali e di successo. La festa annuale delle “forze speciali” è stata creata per celebrare il magnifico lavoro dei soldati di Putin presenti sotto mentite spoglie in Crimea. E mi sembra che siano state la Crimea e l’Ucraina a essere prese di mira dall’allusione mafiosa contenuta nell’omicidio teatralizzato di Nemtsov.
Boris Nemtsov mi appare una delle prime vittime, un protomartire della guerra russo-ucraina. Forse è giunto il momento di rivedere i cliché mediatici che circondano la sua figura. Si tratta di etichette romantiche e vaghe, la prima delle quali sarebbe quella di essere un “uomo troppo libero” (titolo anche di un film del 2016 di Vera Krichevskaya e Mikhail Fishman), al punto da essere ucciso proprio per la sua moralità e inflessibilità. Altrettanto onnipresente è la definizione di “critico indomito di Putin”. Gli esperti amano congetturare che Nemtsov sarebbe stato ucciso per aver usato un'espressione indecente (“un fottuto pazzo”) riferendosi a Putin in una conversazione informale con i giornalisti al margine del “Congresso dell’intellighenzia russa e ucraina” a Kyiv nel marzo 2014. Per giunta, vige anche la teoria di un Boris Nemtsov morbosamente invidiato da coloro che detenevano il potere in Russia a partire da quel lontano anno in cui lui fu definito dal presidente Eltsin come “il miglior candidato presidenziale”.
Alcuni giornalisti hanno persino ipotizzato che Nemtsov potesse essere stato ucciso “dagli stessi suoi confratelli liberali, per aumentare il flusso di partecipanti alla marcia di protesta del giorno successivo a Maryino”. Che vergognosa assurdità. Tutte le persone normali si sono indignate di fronte a una simile ipotesi.
Anche le sue indagini sulla corruzione, compresa quella personale di Putin, in particolare (già allora) in relazione al palazzo a Gelendzhik, possono essere considerate “papabili” per spiegare quanto accaduto.
Particolarmente scontata, ma non funzionale mi sembra comunque la diffusione nella percezione popolare dell’idea di un Nemtsov “uomo troppo libero” che si riduce in fin dei conti all’immagine di un sempliciotto, di una testa calda, di un facinoroso il quale, ad esempio, da Navalny non era per niente rispettato e che da lui veniva costantemente ridicolizzato. Navalny gli diceva: “non venire per parlare ai miei comizi, rovinerai la mia immagine, sei un rudere degli anni Novanta”. L’opposizione degli anni Dieci del Duemila non di rado parlava in modo sprezzante di Nemtsov: “è uno che non potrà mai più candidarsi”.
Era, comunque, uno che forse capiva più degli altri. Era un uomo dotato di maggiore intuizione, genio e dignità rispetto alla media degli oppositori di Putin. Inoltre, era abituato ad agire concretamente per la risoluzione dei problemi. Chiedeva formalmente che Putin fosse chiamato a rispondere delle sue azioni specifiche, tra cui l’incitamento alla guerra, che costituisce un reato. Lo chiedeva rispettando tutti i requisiti previsti dal protocollo, secondo i diritti di deputato. Conosceva i propri punti di forza e li ha messi al servizio del bene pubblico. Anche se non avesse potuto candidarsi come presidente – un Paese non ha solo bisogno di presidenti! – Nemtsov avrebbe potuto essere molto utile in qualità di garante per i diritti civili. Gente come lui viene spesso chiamata “la coscienza della nazione”. Avrebbe potuto andare avanti, lottando per far cessare la guerra e per l’abolizione della censura, impegnandosi per ottenere processi giusti ed elezioni regolari.
Esiste, infine, una ulteriore versione dei moventi dell’omicidio di Boris Nemtsov. Si tratta di un’opzione che è stata costantemente presa in considerazione dagli investigatori. Questa versione è stata avanzata dagli stessi autori del crimine, i killer ceceni che alla fine hanno ricevuto le condanne al carcere: dicevano che si trattava di vendetta per la solidarietà che Nemtsov aveva dimostrato nei confronti di coloro che in Francia e in tutto il mondo erano in lutto per la strage nella redazione di «Charlie Hebdo». Secondo la versione giudiziaria, Nemtsov sarebbe stato ucciso da estremisti che volevano punirlo per aver osato solidarizzare con i giornalisti uccisi per i disegni raffiguranti il profeta. Più o meno queste interpretazioni sono contenute nel bel libro di Mikhail Fishman Il successore (Preemnik, 2022).
È triste notare che le interpretazioni sulla morte di Nemtsov legate alla sua lotta per l’indipendenza dell’Ucraina sono meno frequenti delle altre, e non altrettanto largamente accettate quanto la versione dell’“uomo troppo libero”. Eppure, Nemtsov è morto alla vigilia di una marcia popolare prevista per il 1° marzo, organizzata da lui, all’insegna dello slogan “Putin è la guerra”.
Tuttavia, la grande sfortuna di Nemtsov, inascoltato dai più, è stata che i russi non hanno seguito affatto il suo richiamo e non volevano sfilare in massa in difesa della Crimea. Il rating di Putin, al contrario, dopo l’annessione della Crimea ha raggiunto l’86%. Putin ha intimidito le masse introducendo un articolo nel Codice penale che criminalizzava le marce e i cortei. La gente ha cominciato ad avere paura di scendere in strada. Questa paura perdura fino ad oggi, è rimasta nell’animo della gente, il che spiega la relativa scarsità delle proteste contro la guerra in Ucraina dopo il 24 febbraio. Conosciamo i pestaggi, le torture, le pene detentive subite da chi osa aprire la bocca e dire qualcosa contro questa guerra, farlo anche soltanto in un picchetto solitario, con un foglio assolutamente bianco o con una scritta composta da una serie di asterischi. Un uomo è stato recentemente multato per aver sognato di notte l’Ucraina.
Non possiamo fare a meno di pensare che questo livello di violenza sia riuscito a svilupparsi nella Russia grazie proprio all’inerzia – se non all’indifferenza o alla connivenza – delle maggiori civiltà straniere, di fronte all’aggressione in Ucraina. Fin dall’inizio la comunità internazionale non ha avuto voglia di litigare con il regime di Putin, è stata permissiva e ha fatto finta che non fosse successo nulla. Così è stato dato al mostro sanguinario il tempo di cui aveva estremo bisogno, per riacquistare vigore; così lo zombie, che aveva accumulato rabbia e forza e la certezza di avere di fronte un gruppo di fifoni deboli, si è disseppellito e si è messo a divorare gente e a distruggere paesi.
Ora, nell’anniversario dell'inizio dell’invasione, per avergli concesso un periodo per riprendere forza, l’Europa e il mondo intero devono pagare un prezzo esorbitante, che sarebbe stato molto minore se il mondo civilizzato avesse mostrato fermezza proprio nel 2014-2015, momento in cui essa sarebbe stata necessaria.
Era quello il tempo di agire, quando Nemtsov soffriva, sbraitava e incitava all’azione, quando ancora vivo e attivo, carismatico, meraviglioso, non era ancora un martire. Dopo, la situazione è solo peggiorata.
In questo contesto, Nemtsov è stato uno dei primi a morire nel tentativo di impedire alla Russia di attaccare l’Ucraina. Per salvare l’Ucraina e anche noi e il mondo intero. “Non si muore invano: la causa è salda, quando il sangue scorre sotto di essa...”, scriveva il poeta Nikolai Nekrasov.
L’Ucraina ha abbattuto più di cento monumenti nel corso di questo inverno. Sarebbe bello se nel parco Mariinsky, nel luogo in cui è stato appena distrutto il monumento al generale Vatutin, la gente di Kyiv mettesse quello a Nemtsov. Sarebbe fantastico se ci fossero strade dedicate a lui nelle città europee, come accade già in Repubblica Ceca e Slovacchia, allo stesso modo in cui ci sono vie dedicate ad Anna Politkovskaya. Probabilmente dovremmo noi di Memorial sottoscrivere una petizione da inviare alle autorità di Milano.
Mi sembra, però, che siano state poche le voci ucraine a indignarsi nei giorni successivi alla morte di Nemtsov: mi aspettavo una valanga di voci piene di rabbia e di riconoscenza. Non sono stati abbastanza riconosciuti i meriti di Nemtsov nelle proteste e nelle lotte per l’Ucraina. Non è stato adeguatamente ricordato che lui era presente già durante la rivoluzione arancione a Kyiv nel novembre 2004, quando parlò dalla tribuna, indossando la simbolica sciarpa arancione. Non è stato ricordato a sufficienza che nei giorni dell’inizio dell’Euromaydan, il 2 dicembre 2013, Nemtsov è stato il primo a uscire con lo striscione “Ucraina, siamo con te” davanti all’ambasciata ucraina a Mosca. E se non era stato fisicamente presente in Ucraina in quei giorni, è solo perché su ordine di Yanukovych gli era stato vietato l’ingresso nel Paese dal servizio di sicurezza ucraino.
Il 23 febbraio 2014, Nemtsov è riuscito a deporre dei fiori presso l’ambasciata ucraina in memoria dei caduti del Maydan. Ma nei giorni della presa della Crimea non è riuscito più ad agire. Non ha potuto presentarsi da nessuna parte, perché è stato (sono convinta che sia avvenuto su ordine speciale del Cremlino) arrestato per 15 giorni. Una detenzione illegale, visto che lo status di Nemtsov come membro del parlamento avrebbe dovuto difenderlo.
“Prima di tutto, considero l’Ucraina un paese molto vicino e amichevole”, spiegava Nemtsov ai giornalisti nel 2014. “In secondo luogo, sono sicuro che se la democrazia riuscirà a trionfare in Ucraina, prima o poi lo farà anche in Russia”.
In un’intervista rilasciata a Mikhail Sokolov su «Radio Liberty» il 30 aprile 2014, Nemtsov aveva previsto che Putin si sarebbe vendicato dell’Ucraina per la sua scelta europea, per aver osato fare ciò che anche la Russia avrebbe dovuto fare, ma che Putin personalmente voleva proibire alla Russia, condannandola a rimanere indietro e a mettere una croce sul proprio futuro.
Nemtsov lo sentiva così acutamente e lo viveva così dolorosamente perché era stato proprio lui, Nemtsov, ad assistere attivamente Boris Eltsin nel dicembre 1994, all’atto della firma del Memorandum di Budapest che garantiva l’inviolabilità dei confini dell’Ucraina (con garanzie da parte di Russia, Stati Uniti e Regno Unito) in cambio dello status non nucleare della Repubblica Ucraina.
Poiché Boris Nemtsov era vicino a Eltsin all’epoca del Memorandum, non poteva non sentire nel 2014, quando Eltsin giaceva già nella tomba, – di dover essere proprio lui, Nemtsov, a reggere il peso della responsabilità per il crimine politico commesso dalla Russia nel 2014, per poter poi cercare rimedi. Nemtsov sapeva come si fa a fermare le guerre. Nel 1996 (al tempo della Prima guerra cecena) aveva raccolto un milione di firme, le aveva portate fisicamente in un minivan pieno di cartoni presso la residenza di Eltsin, le aveva portate a mano nell’ufficio del Presidente e lo aveva praticamente convinto a cessare la guerra, accompagnando poi Eltsin nel maggio 1997 in Cecenia per firmare l’accordo con Aslan Maskhadov.
La pace non era destinata a durare: due anni dopo, nel settembre 1999, Putin, con il pretesto di atti terroristici, i quali quasi certamente erano stati organizzati su suo ordine (mi riferisco in particolare alle esplosioni dei condomini di Mosca, Buynaksk e Volgodonsk, con 300 civili morti), scatenò la Seconda guerra cecena, cercando di aumentare il proprio rating in vista delle future elezioni presidenziali.
Putin fece dell’intervento in Cecenia il cavallo di battaglia della propria candidatura, сon la connivenza di un Boris Eltsin gravemente indebolito, che non era più il sovrano di fatto del paese, e con solo tre mesi di tempo per governare.
Il 13 settembre 1999, Nemtsov fu intervistato da Serguey Korzun per «Ekho Moskvy». In quell’occasione parlò di tutto: della necessità di mettere delle guardie speciali agli ingressi delle case, del piano di rafforzamento dell’esecutivo, del lavoro della polizia. Era confuso. Ora, rivedendo quella registrazione, mi colpisce che per Nemtsov l’apparato dei servizi segreti, il lavoro della struttura subordinata a Putin, non sembrassero in alcun modo coinvolti nella vicenda. La mostruosità dei delitti era tale che a Nemtsov non sembrava possibile che quell’uomo dall’aspetto gracile, ex capo del ministero di sicurezza, fosse capace di escogitare un piano malvagio così elaborato e fenomenale. Nemtsov non si aspettava che Putin potesse arrivare a tanto. Anzi, all’epoca, addirittura sosteneva Putin, senza invidiare il fatto che il vecchio Eltsin aveva designato Putin e non lui, come successore.
Poi il tempo ha preso a correre in modo folle. Dopo che l'assalto a Dubrovka e la “liberazione” della scuola di Beslan avevano mostrato il vero volto disumano del nuovo governo, era già abbastanza chiaro a Nemtsov quale mostro lui e la famiglia dell’ex presidente avessero issato sul trono con le loro stesse mani.
Ma il culmine è arrivato nel momento in cui la perfidia aggressiva di Putin si è estesa all’Ucraina. Nel 2014 Nemtsov, non più quell’uomo ingenuo dallo spirito umanitario che nel 1999 aveva rilasciato quell'intervista a «Ekho Moskvy», ma diverso, più maturo, più saggio, parla a «Radio Liberty» con Mikhail Sokolov e fornisce una chiara analisi di ciò che stava iniziando ad accadere in Ucraina, e del piano scellerato di Putin per non permettere all’Ucraina di avere un futuro europeo nitido e luminoso.
Parlando a «Radio Liberty» il 30 aprile 2014, Nemtsov ha quasi urlato quello che ai giorni nostri è diventato ovvio: “Putin ha bisogno di smembrare l’Ucraina, Putin ha bisogno di ricreare l’impero, Putin ha bisogno di soggiogare le nazioni, Putin ha bisogno di governare in eterno: infatti è quello che sta cercando di fare”.
Tra l’altro, lo ha gridato non solo alle orecchie dei russi, ma anche a quelle degli europei e degli americani, pronunciandosi sia al Congresso che in vari Parlamenti a favore di sanzioni più severe contro la Russia.
Parlando alla redazione di “Moskovsky Komsomolets” il 26 febbraio 2015, disse che Putin era chiaramente intenzionato a intensificare la guerra e che il suo rifiuto di introdurre forze di pace dell’ONU in Ucraina lo dimostrava: “Putin sta cercando questa escalation per fare evolvere quella guerra da un confronto tra il popolo russo e l’Ucraina, a un globale conflitto tra la Russia e l’odiato, maledetto e marcio Occidente”.
Nemtsov ha aggiunto in particolare – cosa utile per noi da ascoltare ora, nel bel mezzo della polemica che non si placa in Europa e nel mondo da oltre un anno – che la fornitura di armi americane all’Ucraina è “inevitabile!”. “A qualcuno piace, a qualcun altro non piace, – scandisce le parole Nemtsov ad alta voce, – le spedizioni di armi americane sono i-ne-vi-ta-bi-li!”
Ha gridato quello che poteva e ha pagato con la vita quell’ultimo grido.
Nel 2015, il primo marzo, cioè due giorni dopo la sua ultima apparizione su «Ekho Moskvy», Nemtsov programmava di partecipare a una marcia contro la guerra, da lui stesso organizzata. Questo, secondo il suo intento, avrebbe segnato un passo importante per il movimento contro la guerra in Ucraina. Il fulcro dei suoi discorsi di protesta contro la guerra era specifico e ben delineato: la violazione delle disposizioni di legge da parte di Putin e del suo regime. “L’annessione della Crimea è politicamente criminale – ha dichiarato Nemtsov, – e viola gli obblighi internazionali assunti da Mosca. Inoltre, è legalmente invalida: nessuno al mondo la riconoscerà. Ed è economicamente pericolosa: contribuirebbe a spingere la Russia fuori dai mercati internazionali”.
Per quante difficoltà lui abbia incontrato, per quante persone incredule e non collaborative abbiano reso difficile il suo lavoro, Boris Nemtsov, che possedeva gli strumenti raffinati di un politico professionista, è stato straordinariamente utile ai simpatizzanti dell’opposizione che la pensavano come lui, e a tutte le persone di buona volontà. Infatti, Nemtsov diligentemente ha applicato la tecnica dell’inchiesta su mandato parlamentare, oppure del partito, che erano gli strumenti di lotta più sofisticati fra tutti quelli che in quel periodo erano disponibili. La morte di Nemtsov e l’uscita dalla scena politica di altri che agivano come lui hanno rappresentato un male irreparabile per il Paese, perché ormai in Russia praticamente non rimane nessuno che possa adoperare tecniche simili. Oggi nel Paese, dove la Costituzione è stata illegalmente modificata, dove un deputato può essere arrestato per aver pronunciato qualche frase a favore della pace, e dove si praticano esecuzioni extragiudiziali eseguite per mano di ex condannati illegalmente graziati, come si può parlare ancora di legalità?
In quei mesi del 2014 il territorio ucraino si riempì d’un tratto di unità dell’esercito in incognito, che non dichiaravano i propri spostamenti, e celavano i nomi, le targhe, i numeri e l’appartenenza: proprio loro si impadronirono della Crimea. Il Cremlino li chiamava “uomini educati”. Non si capiva chi fossero. Attraversavano il confine in una direzione e nell’altra. Quando gli è stato chiesto direttamente di parlarne, il 4 marzo 2014, nel corso di una conferenza stampa, Putin ha guardato negli occhi il giornalista e con il suo caratteristico sorriso sadico ha risposto: “ma loro non ci sono” (“Ikh tam net”).
Le locuzioni “persone educate” e “ikh tam net” sono entrate nel nuovo linguaggio russo. I concetti alla base di queste espressioni hanno danneggiato enormemente la coscienza pubblica, minando nei cittadini la fiducia verso le autorità che governano il paese, ogni stima per lo stato di diritto, e stabilendo al contempo la supremazia delle menzogne e del cinismo su qualsiasi altra cosa.
Nemtsov ci ha lasciato forse gli ultimi esempi di richieste procedurali fatte in modo regolare e mirate alla vera conoscenza delle realtà politiche. Eccone una, inoltrata il 30 maggio 2014: “Secondo quanto riportato dai media, nella notte del 27 maggio 2014, un gruppo di individui armati provenienti dalla Repubblica Cecena ha attraversato illegalmente il confine russo-ucraino. Il gruppo viaggiava su camion e trasportava grandi quantità di armi da fuoco, esplosivi e munizioni. Tuttavia, le guardie di frontiera russe non hanno opposto resistenza al movimento degli uomini armati. Poiché il signor Kadyrov ha dichiarato che questi individui non hanno alcuna relazione con i militari e i dipendenti del Ministero degli Affari Interni della Repubblica Cecena, vuol dire che si tratta di formazioni armate illegali. A questo proposito, chiediamo di rispondere alle seguenti domande:
1. Sono stati aperti procedimenti penali in relazione all’attraversamento illegale del confine della Federazione Russa (art. 322 del Codice penale della Federazione Russa)?
2. Sono stati aperti procedimenti penali in relazione al contrabbando di armi e munizioni? (Articoli 188 e 226.1 del Codice penale della Federazione Russa)?
3. Sono stati avviati procedimenti penali per possesso illegale di armi? (Articolo 222 del Codice penale della Federazione Russa)?
Grazie,
Il Co-Presidente del Partito Politico ‘Partito Repubblicano della Russia – Partito della Libertà del Popolo’ Boris Nemtsov”.
Non è stato un caso che Nemtsov abbia reagito con tanta attenzione, rabbia e sospetto in relazione al fattore ceceno in Ucraina. Il 29 agosto 2014 è stato pubblicato un video girato da un combattente ceceno al confine tra Russia e Ucraina alla vigilia dell’invasione. Il filmato riprende il dialogo dei militanti ceceni di fronte a una colonna di carri armati e altri veicoli blindati. “Ecco il nostro convoglio, non si vede l’inizio, non si vede la fine, e ci siamo preparati per l’invasione. Allah akbar!”.
Nello svolgimento di queste attività, Nemtsov ha ricevuto minacce del tipo “Ti uccideremo, maiale!”. Nonostante questo, il 27 gennaio 2015 Nemtsov ha inoltrato una richiesta ufficiale al procuratore generale russo, chiedendo di verificare le informazioni sulla morte dei militari russi sul territorio dell’Ucraina.
Ho la convinzione che sia stato eliminato esattamente per quelle ragioni. Non per l’invidia o una qualche vaga irritazione nei confronti del suo essere un personaggio pubblico ingombrante. No, io credo piuttosto che la sua attività minacciasse direttamente il potere di Putin e che per il Cremlino apparisse necessario fermare questa attività.
I killer ceceni erano perfetti per risolvere questo caso, perché avevano da tempo la reputazione di “guerrieri a sangue freddo per l’Islam” e perché Nemtsov li aveva davvero presi di mira nelle sue indagini, come vediamo nei documenti citati e come aveva fatto Anna Politkovskaya otto anni prima di lui.
Credo che la tempistica dell’assassinio sia stata decisa in funzione di una serie di fattori: l’anniversario dell’annessione illegale della Crimea; la vicinanza temporale con il caso parigino di «Charlie Hebdo», che permetteva un rimando alla “vendetta islamica verso coloro che compatiscono chi aveva offeso il profeta”; e infine, il fatto che tutto si è svolto praticamente qualche giorno prima della stesura dell’indagine ideata da Nemtsov, dal titolo Putin. Guerra.
Il giorno seguente, lui avrebbe dovuto vedersi con la sua assistente, Olga Shorina, per dettarle il testo definitivo del rapporto. Si tratta di un documento che è stato successivamente completato, in base alla sua scaletta, dai suoi amici; in primo luogo, da Ilya Jashin, ma anche da Serguey Parkhomenko e altri. L’indagine è interessante, parecchio fastidiosa per i poteri, ma non c’è quello scintillio che avrebbe potuto apportare Nemtsov in persona. Il fascino personale se ne va, e con esso svanisce lo stile. Si sente, eccome, la stessa lacuna nel lavoro della squadra di Navalny senza Navalny. È stato lui, Navalny, solo lui tra tutti, la sorgente di quella ‘mozartianità’ del giornalismo. Grazie a Dio, Navalny è ancora in grado di scrivere, e ci godiamo i suoi testi con lo stesso sorriso e ammirazione di prima, quando leggiamo le sue brevi lettere dal carcere.
Bella conferma, infatti, che il Cremlino, uccidendo, allontanando dalla vita normale e rinchiudendo in prigione le persone più brillanti, segue un piano preciso. Vediamo, infatti, che non c'è più nessuna figura di spicco nello spazio pubblico dell’opposizione in Russia.
La causa dell’opposizione è stata sconfitta. La paura ha vinto. La codardia e la disunione hanno travolto molte persone. Questo processo è stato avviato in grande misura proprio dalla morte simbolica e violenta di Boris Nemtsov.
Le sue ultime ore lui le aveva trascorse negli studi della famosa stazione radio di «Ekho Moskvy» e con quelle cuffie e quel microfono ha colto, senza saperlo, la sua ultima chance per comunicare con la gente prima di “donare”, due ore dopo, la propria vita. Ha utilizzato quei minuti per chiarire i punti più dolorosi e problematici che turbavano la coscienza pubblica in quel momento. Leggendo le parole di Nemtsov ci accorgiamo che il messaggio base del suo intervento del 27 febbraio 2015 riguardava per la maggior parte la guerra in Ucraina e soltanto oggi, nel nostro 2023, ci rendiamo conto di quanti punti abbia messo a fuoco, riguardo a questioni che vanno spiegate a molte persone anche oggi: “Va detta un’altra cosa che vorrei sottolineare: questo è un memorandum serio sullo status non nucleare dell’Ucraina. Nel ’94, la Russia ha firmato che se l’Ucraina avesse cessato di essere una potenza nucleare, cioè avesse ritirato le testate nucleari dal suo territorio, la Russia si sarebbe impegnata a rispettare la sua sovranità e integrità territoriale. Con la presa della Crimea, Putin ha di fatto cancellato i nostri obblighi e violato il sistema internazionale di non proliferazione nucleare. Questo è un crimine. Inoltre, il più importante trattato di amicizia, cooperazione e partenariato tra Russia e Ucraina è stato calpestato. Il secondo articolo di questo trattato prevede che la Russia garantisca l’integrità territoriale dell’Ucraina”.
Boris Nemtsov ha concluso il suo discorso alla radio quella sera con le parole: “E se non verranno numerosi… Be’, questa marcia non è la fine della vita. Oggi c’è una marcia a Maryino, domani ci sarà una marcia sulla Piazza Rossa…”. Queste sono state le sue ultime frasi alla radio.
La marcia sulla Piazza Rossa poi c’è stata comunque: il primo marzo 2015, una folla di 50.000 persone piangenti e addolorate ha marciato con lo slogan “Queste pallottole sono dentro ognuno di noi”. È nata così la tradizione del pellegrinaggio commemorativo che attraversa la Piazza Rossa e porta al luogo dell’omicidio di Nemtsov, sul ponte, sul posto che è diventato un luogo rituale.
Oggi Mosca attorno al Cremlino è deserta, vuota. Il luogo del martirio è stato sgomberato decine di volte dai poliziotti. Ora a Mosca non si può più andare a fare un picchetto con un foglio bianco; a una zanzara non è più permesso ronzare se non nel coro di Putin.
Eppure, ci sono sempre fiori freschi sul ponte dove Boris Nemtsov è stato assassinato, e sempre più persone inseriscono i propri nomi nello schedario elettronico sul sito web “Ponte Nemtsov” che ricostruisce il suo caso, riporta tutte le sue interviste e parole, ne onora il nome e gli ideali, chiede giustizia per lui e un riconoscimento toponomastico della sua figura. E sempre, giorno e notte, come guardie d’onore, i volontari stanno lì. Con il caldo e con il freddo, i volontari stanno lì, sul ponte.
Non è forse questa la prova della perfetta unicità della sua figura e dell’attualità della causa che lui aveva saputo prevedere dal suo passato che ormai sembra a noi così lontano?