"Da Kiev all’Italia, passando per la Russia: intervista a Elena Kostioukovitch"
di Davide Romano
Elena Kostioukovitch è una traduttrice, scrittrice e una specialista dei legami culturali tra Russia e Occidente; nata in Ucraina da una famiglia ebraica, ha scelto l’Italia come sua patria di adozione, dedicandosi qui alla traduzione dei capolavori italiani in russo: l’Orlando Furioso di Ariosto, i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni ma anche i sette romanzi di Umberto Eco.
Lei è nata in Ucraina nel 1958, si è laureata a Mosca e ha tradotto tutti i sette romanzi di Umberto Eco, oltre che giganti come Ariosto e Manzoni. In passato ha insegnato nelle facoltà di Trieste, Pavia, Trento, Milano. Oggi vive nella nostra città, dove preferisce dedicarsi solo alla scrittura. Ci spiega il suo percorso da Kyiv a Mosca e ai grandi autori italiani?
Sono nata in una famiglia intellettuale ebraica di Kyiv di cultura e lingua russa, come tante altre famiglie della “classe creativa” nelle capitali delle quindici repubbliche dell’Unione Sovietica. A un certo punto mio nonno, famoso scrittore, si trasferì a Mosca per essere vicino ai suoi editori. Io lo seguii. Lì mi sono diplomata in uno dei migliori licei e poi laureata all’Università di Mosca (studi italiani) e, a 22 anni, ho passato il concorso per diventare ricercatrice all’Accademia delle Scienze Umane Gorky. Nello stesso periodo ho iniziato a pubblicare e a tradurre in russo la letteratura italiana: da Gramsci a Pasolini, ma anche autori molto diversi come Emanuele Tesauro, autore de “Il canocchiale aristotelico”, unica traduzione esistente al mondo dell’opera magna del massimo teorico barocco.
Nei suoi libri e nelle sue traduzioni c’è una speciale attenzione al mondo ebraico: dal massacro dei nazisti a Babi Yar alla traduzione di racconti yiddish di Efim Rajze, perseguitato dallo stalinismo. Com’è il suo rapporto con l’ebraismo?
Queste famiglie ebraiche intellettuali erano in gran parte laiche ed estranee al mondo ebraico tradizionale. Persino i miei nonni non conoscevano né lo yiddish né l’ebraico. Ciononostante, gran parte della famiglia fu fucilata dai nazisti nel 1941 a Babi Yar, che è uno dei tragici episodi della Shoah. I nazisti scegliendo le vittime consideravano la “razza”, non certo lingua e/o religione. Il resto della famiglia fu poi perseguitato per gli stessi motivi razziali dalle autorità staliniane nel corso della grande campagna antisemita sovietica (“lotta contro i cosmopoliti”) del 1948/1953.
Non sorprende che io reagisca a questi argomenti come a qualcosa di emotivamente rilevante per me.
Mosca ha spesso denunciato il neonazismo in Ucraina, mostrando foto di gruppi ucraini con svastiche. Dall’altro lato l’Ucraina è – a parte Israele – il primo Paese al mondo ad avere avuto un premier (Volodymyr Groysman dal 2016 al 2019) e un presidente (Volodymyr Zelensky, eletto con il 73% dei voti) ebrei. Qual è la reale situazione degli ebrei in Ucraina?
Penso che dopo aver visto la propaganda russa mentire su qualsiasi cosa (ad esempio, affermare che la Russia non avesse iniziato la guerra contro l’Ucraina), mi credereste se vi assicuro che non ci sono neonazisti in Ucraina. La Russia usa questa parola, mentendo palesemente, solo per fare pressione sui nervi delicati dell’opinione pubblica occidentale.
Se la propaganda russa, strappando l’argomento dal suo contesto, mostra in giro alcuni tatuaggi che si fanno incidere, probabilmente in caserma nelle ore libere, alcuni ragazzacci che si sono arruolati per diventare paracadutisti nel battaglione Azov, posso invitarvi a interessarvi a quali tatuaggi hanno quelli della “Brigata Folgore” o della “Legione straniera” francese. Statisticamente i tipi del genere sono ovunque, ma il loro numero è irrilevante.
Sono molto sensibile al problema dell‘antisemitismo in Ucraina (nella storia, nel passato), siccome i miei antenati sono stati tra le vittime di pogrom a Zhytomir e a Kyiv e alcuni prozii sono fuggiti in America proprio a causa di quei pogrom.
Ora in Ucraina non solo non c’è antisemitismo a livello di dichiarazioni, ma dirò di più: dopo l’inizio dell’invasione russa, Israele per l’Ucraina è un Paese eroico e un campione per il futuro. In Ucraina si dice che “ora bisogna costruire un nuovo Israele” sulla terra dell’Ucraina. Ne ho scritto un capitolo a parte nel mio nuovo libro “Kyiv e la bomba atomica”, che sarà pubblicato in autunno 2023 presso “La nave di Teseo”.
Quanto al becero antisemitismo di bottegai e diseredati, dei giovanotti che aderiscono all’estrema destra, questo tipo di “giudeofobia” probabilmente esiste in Ucraina, così come esiste in tutto il mondo, e l’Italia non mi sembra faccia eccezione. E’ importante che in Ucraina nessuno permette a queste tendenze di aprire bocca.
E a proposito di antisemitismo, mi pare doveroso chiederle anche com’è la situazione degli ebrei sotto la Russia di Putin oggi.
A livello dello stesso Putin e dei suoi amici, l’antisemitismo, sinceramente, non si è verificato. Molti dei compari di Putin, i cosiddetti “oligarchi”, cioè i detentori segreti del suo denaro corrotto, da Abramovich a Friedman, sono di provenienza ebraica.
Ciononostante, nel corso degli anni noi intellettuali abbiamo spesso rabbrividito di fronte alle occasionali pubblicazioni dei personaggi russi di spicco che alludevano in un modo assai cruente al “popolino piccolo che allunga le proprie mani sui risparmi della gente normale” o a “coloro i quali, sfortunatamente, non sono stati ammazzati tutti dai tedeschi a loro tempo”. Questo partiva dall’ideologo del regime Prilepin, quello dell’attentato non riuscito, e dall’autoproclamato filosofo Dughin, oltre che da parte di propagandisti qualunquisti, i quali ultimamente danno sempre più voce alla retorica aggressiva, brusca, manipolando le latenti pulsioni antigiudaiche. La guerra inasprisce molte tensioni. Prevedo che prossimamente (visto che tra Putin e gli oligarchi sembra stia finendo la pace basata sull’omertà dei corrotti) i propagandisti riceveranno dall’alto il comando “forza!”. E siccome non aspettano altro, si precipiteranno a denunciare gli ebrei e a rivelare i loro veri cognomi nascosti dietro a pseudonimi, a parlare di “cosmopoliti senza fissa dimora” e, come hanno già iniziato a definire gli ebrei nel parlamento russo, di “persone senza terra e radici solidi”.
Il bersaglio principale di questo flusso di odio è motivato naturalmente dal fatto che il Presidente Zelensky è di provenienza ebraica (laica, russofona, emancipata, precisamente come nel caso mio). Il 30 dicembre 2022, il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, in un’intervista al “Guardian” ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di lasciare la Russia “finché sono in tempo”, prima di essere “resi capri espiatori”.
Lei conosce molto bene sia l’Ucraina che la Russia. Ha scritto recentemente anche un libro intitolato “Nella mente di Vladimir Putin”. Dunque, al di là della ovvia propaganda attuale, come spiega le ragioni profonde di questa invasione russa?
La Russia attuale putiniana, che dura ormai un quarto di secolo, oggi cerca di impossessarsi dell’Ucraina in una “guerra calda” dopo un periodo lunghissimo di una guerra fredda di accumulazione, che tutto il mondo guardava con indifferenza.
Alla Russia di Putin oggi l’Ucraina è indispensabile come una testa di ponte, un cuneo che penetra nell’agognata e odiata Europa. L’obiettivo è interferire sempre di più nei loro processi politici, a partire dalle elezioni. Tra gli obiettivi russi, c’è anche l’intenzione di continuare ad aizzare il terrorismo internazionale, a erodere il diritto internazionale, a iniettare denaro nelle classi governanti europee, a investire nelle correnti estremiste dei Paesi europei, creando instabilità e caos. Tutto ciò nell’ottica assurda di “ripristinare la grandezza passata della Russia”. Il mio libro è dedicato a queste teorie pericolose di Putin e dei suoi accoliti.
Per finire, le chiedo un consiglio per i nostri lettori. Quali autori ucraini e russi consiglierebbe ai nostri lettori per approfondire la storia ebraica di questi due Paesi?
Certamente, le opere di Sholem Aleychem, celebre autore yiddish ucraino.
Sulla Shoah in Ucraina, il testo più valido è “Babij Jar” di Anatolij Kuznecov (Kusnetsov), centrato sui massacri orribili, rimossi dal regime sovietico. Il libro, censurato in patria, fu letto in Occidente dopo che nel 1969 l’autore scappò a Londra.
Non si può, credo, fare a meno dei libri di Ludmila Ulitskaya. Mi riferisco a “Funeral Party”, una storia ambientata tra gli immigrati ebrei a New York (un ritratto accurato e vivido in cui rivedo la gente che conosco nei personaggi del libro). Mi riferisco anche al romanzo della stessa Ulitskaya “Daniel Stein, traduttore”, interamente dedicato al tema dell’ebraismo russo-ucraino, basato sulla vita di Oswald Rufeisen, sopravvissuto alla Shoah e diventato monaco in Israele. Anche in questo caso posso giudicare la “precisione del colpo”, perché questo romanzo, che è stato tradotto in cinquanta Paesi del mondo, ha venduto quattro milioni di copie e vinto un numero notevole di premi letterari, è stato scritto addirittura sotto forma di lettere a me.
E per quel che riguarda me, infine, sono fiera di potere raccomandare il libro da me composto e curato (con un importante glossario in tre lingue, ebraica, yiddish e italiana, ad opera di Laura Quercioli Mincer) “Racconti e storielle degli ebrei” (Bompiani).